L'Argomento ~ Island grabbing turistico per le isole minori della Laguna di Venezia?

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di Federica Letizia Cavallo (Università Ca’ Foscari di Venezia) e Francesco Visentin (Università di Udine)

Nella lunga storia di Venezia, le isole minori della laguna sono state parte di un sistema arcipelagico urbano, all’interno del quale assolvevano a scopi specifici: sedi monastiche, spazi agricoli periurbani, aree di pesca, punti strategici per fortificazioni difensive, enclaves funzionali al confinamento sanitario. Queste isole sono state per secoli “lontane dagli occhi, ma non lontane dal cuore” di Venezia: erano, anzi, spazi essenziali per la vita della città, socio-economicamente integrati, ben noti e fruiti dalla popolazione e, in buona parte, permanentemente abitati. 

Il periodo compreso tra la conclusione della parabola della Serenissima nel 1797 e l’annessione di Venezia al Regno d’Italia nel 1866 ha, tuttavia, aperto la strada a logiche esogene al sistema lagunare, mentre la modernità irrompeva modificando gli assetti della città d’acqua: la costruzione nel 1846 del ponte di collegamento con la terraferma, poi raddoppiato dal collegamento stradale nel 1933, costituisce uno spartiacque epocale. Nel nuovo assetto che si andava delineando nel corso del Novecento, le isole minori sono state percepite come periferiche e poco funzionali a nuovi bisogni: un processo di marginalizzazione che ha subito una notevole accelerazione a partire dal secondo Dopoguerra.   

L’inesorabile abbandono di molte piccole isole è passato quasi inosservato, fino a quando alcune voci hanno cominciato a portare l’attenzione su questo patrimonio, in buona parte pubblico, in degrado. Un momento chiave è stata la mostra fotografica organizzata dalla Società Remiera Settemari nel 1978, seguita dalla pubblicazione “Isole abbandonate della laguna veneziana” di Giorgio e Maurizio Crovato. Una piccola rivelazione per un vasto pubblico sensibile al patrimonio lagunare, ma anche per molti veneziani: infatti, sebbene i toponimi di queste isole facessero ancora parte delle loro mappe mentali, pochi tra essi avevano continuato a frequentarle percependone il declino.

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La pubblicazione del 1978 “Isole abbandonate della laguna veneziana”, nella riedizione del 2009 dedica quarta di copertina e parte dei proventi al Lazzaretto Nuovo

Negli ultimi decenni, l’abbandono delle isole minori della Laguna è stato parzialmente contrastato da altre tendenze. Da un lato, soggetti istituzionali e imprenditoriali, come pure attori della società civile, hanno intrapreso iniziative per restituire alcune isole a una rinnovata fruizione pubblica, in linea con le esigenze contemporanee di cultura, ricreazione, contatto con la natura e socialità. Si tratta del caso dell’isola di San Servolo, convertita in polo ricettivo, convegnistico e universitario internazionale senza venire meno alla funzione memoriale legata al manicomio un tempo ivi presente, dell’isola della Certosa, divenuta polo nautico, ricettivo e in parte parco pubblico, di Mazzorbetto riservato ad ospitare una base Scout e, su tutte, unica isola rigenerata dall’abbandono e riportata alla collettività con un progetto non profit, dell’ecomuseo del Lazzaretto Nuovo, nel cui magazine sono ospitate queste brevi considerazioni.

D’altro canto, in un contesto che rappresenta una delle destinazioni più attrattive a scala globale, si è andata delineando una controtendenza all’abbandono nel segno del turismo: l’acquisizione delle isole da parte di privati allo scopo di realizzare strutture di accoglienza esclusive. Si pensi al Kempinski Palace Hotel nell’isola di San Clemente o al resort di Sacca Sessola, dove nel 2015 la catena Marriott ha sostituito una precedente gestione, ribattezzando l’isola con il più turisticamente attrattivo epiteto di “Isola delle Rose”.

Una simile tendenza alla conversione turistica degli spazi insulari può essere interpretata come una forma inedita di “island grabbing”, letteralmente “accaparramento di isole”. Nella letteratura geografica con questo termine si indica un fenomeno geopolitico che vede le nazioni puntare ad estendere la propria sovranità a piccole isole per accaparrarsi i diritti sulle relative zone di pesca o sulle risorse minerarie sottomarine. Nel caso della Laguna di Venezia, siamo di fronte a una dinamica politica ed economica dove sono potenti attori del settore turistico, spesso vere e proprie multinazionali, ad acquisire isole minori che il settore pubblico mette all’asta. Cambiano i soggetti coinvolti, ma non la sostanza: accaparrarsi risorse insulari pregiate e potenzialmente assai remunerative.           
 

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Destinazione d'uso alberghiera: "Posizione ottima, esclusività, a pochi minuti da San Marco" (isole di San Clemente, Sacca Sessola, San Servolo, Certosa).

In questo processo è possibile leggere una strategia di espansione delle imprese turistiche che, a fronte di un centro storico veneziano in via di saturazione, cercano nuovi spazi meno congestionati, sfruttando il richiamo potente legato al soggiorno in un buen retiro insulare. Trattandosi essenzialmente di isole demaniali, ciò non sarebbe possibile senza una scelta politica a monte che avalla la possibilità di una concessione d’uso a lungo termine, nei fatti del tutto simile ad una privatizzazione. Per sostenere questa linea, ad essere chiamata in causa è l’onerosità per la pubblica amministrazione dei costi di recupero e mantenimento del patrimonio insulare (costi di cui si fa carico il concessionario), rimpinguando al tempo stesso le casse della pubblica amministrazione. 

Ma così facendo, non sta il potere pubblico abdicando alla sua missione civile di conservazione del patrimonio pubblico, in primo luogo, per la pubblica fruizione della comunità e non per il profitto di soggetti imprenditoriali?

 

L'articolo è stato pubblicato nel numero di ottobre 2021 del magazine de La Biblioteca delle Isole (rubrica "L'Argomento").

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Reti da pesca si asciugano al Lazzaretto Vecchio, guardando le isole di San Clemente, Sacca Sessola e Santo Spirito (anche quest'ultima acquistata da privati e in ristrutturazione da anni, e per la quale la variante urbanistica al Piano regolatore ha ammesso la realizzazione di nuove costruzioni per uso residenziale, ricettivo, alberghiero)